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16 marzo 2012 5 16 /03 /marzo /2012 19:46

Ricordo ancora quando mi poggiarono sul tavolo un libro di 1500 pagine e mi dissero: “tieni, prima di scrivere quel testo, leggi questo”; è chiaro che non avrei mai scritto niente, con tutte quelle pagine da leggere solo per trovare 3 o 4 informazioni che mi servivano a scrivere qualche pagina cartacea, anche mio padre, giornalista, diceva sempre che le cose vanno fatte subito, senza indugiare, altrimenti, nelle decisioni, attendendo, si sbaglia comunque, se invece si passa subito all’azione, si ha la possibilità sia di sbagliare, ma anche di fare la cosa giusta ed è a questo che bisogna puntare, posso scrivervi che “si sta nella perfezione sin quando nessuno scopre gli errori”, ma io, più semplicemente miro a “fare più cose possibili nel minor tempo possibile”, altrimenti fare divulgazione con pause lenirebbe l’operato.

Evitando però di “perdere tempo” nella vita si può arrivare anche a non viverla, in pratica se uno ha tanto da fare, da non gustare le proprie azioni, non le vive.

Non sono stato mai portato a conoscere le lingue straniere, forse anche perché tanti anni addietro era ancora obbligatorio il passaporto anche per recarsi ad esempio in Francia, ma anche perché nel 1982 la conoscenza delle lingue straniere non era ancora così importante; in quell’anno andai ad abitare a Laveno Mombello, paese affacciato sulla sponda lombarda del Lago Maggiore, quella conosciuta inizialmente come sponda magra, per via dei numerosi operai provenienti dal meridione d’Italia che la abitavano fornendovi la loro richiesta manodopera, successivamente come sponda operaia e operosa, con le sue fascinose fabbriche liberty di ceramica, indirizzate all’art deco’, di cui potrete ammirare una galleria delle più belle immagini al Museo Internazionale del Design Ceramico e Civica Raccolta di Terraglia della frazione Cerro di Laveno Mombello, di cui bellissime immagini di ricordi d’arte creata da mani operaie li possiamo gratuitamente vedere al link http://www.lombardiabeniculturali.it/opere-arte/istituti/33/ (con possibilità, nelle 80 pagine, di cliccare sulle immagini per ingrandirle), oppure direttamente al museo spendendo 2 Euro per l’entrata, per poi spingerci ad ammirare il Lago Maggiore (denominato anche Verbano).

E ricordo anche che, quando mia madre mi accompagnò per la prima volta a scuola in via 25 aprile a Laveno, chiedendo se il grembiule si dovesse portare a quadretti piccoli o grandi, le fu risposto che i grembiuli in quella scuola non si portavano, questo anche perché tutti in paese si conoscevano per nome e non c’era bisogno di omologarsi.

Per alcuni giorni l’anno non si faceva scuola perché qualche volta esondava in paese il lago, altre volte si sperava in uno sciopero delle ferrovie o che si rompesse qualche locomotore o che una mucca o una capra o anche un cinghiale bloccasse il treno mettendosi sui binari (a quei tempi i treni delle ferrovie locali viaggiavano al massimo a 60 km/h, senza quindi investire nessuno), purtroppo però in quegli anni non c’erano scioperi del personale didattico; il luogo prediletto per le giornate in cui marinavamo la scuola era una casa in legno costruita ai bordi del bosco, ma se ritenete che ci assentavamo impunemente dalla scuola, sappiate che quella casa la costruirono dei papà di alcuni nostri compagni di classe, provetti muratori; chiamavamo questa casa “la capanna”, e la festeggiavamo con l’Augurio “lunga vita alla capanna, alla capanna!”, finché una professoressa delle scuole medie la fece buttare giù da una ruspa, con la scusa che al posto di essa dovevano costruirci un parco giochi per bambini, ma che, i bambini si divertivano per conto loro già prima! Anzi, prima, percorrendo i sentieri del bosco per arrivare alla capanna non correvamo i pericoli di incontrare qualche persona sbagliata, che nei pensieri dei bambini potevano essere o il maestro o la maestra che, con uno scappellotto (ovvero schiaffo, che allora si usava per la “correzione” degli alunni, senza incorrere nella “correzione”dei genitori come si fa al tempo presente) ci avrebbero riportato a scuola.

Le speranze sullo sciopero dei trasporti erano riposte nel fatto che il maestro abitava a Castelveccana, paese poco più a nord servito dalla ferrovia, e la maestra poco più a sud, a Cittiglio, paese sempre servito dalla ferrovia e ambedue giungevano a scuola in treno, fin quando la maestra comprò l’automobile, ma anche li risolvemmo, presto andò in cinta diverse volte (ringraziamo il marito di buon cuore) e stette a casa, lasciando il posto a vari supplenti che cambiavano di tanto in tanto, non potendo seguirci a dovere.

A volte capitava che il Sindaco visitava la scuola o che ci regalassero dei biglietti per il Luna Park o  ci portassero a vedere le partite infrasettimanali di calcio del Laveno Mombello ( http://www.fclavenomombello.it/home.html ) con in palio qualche trofeo, allora era sempre festa!

Mi è ritonato alla mente tutto ciò, perché la nostra comunità, come spesso accade in Italia, è stata sempre una popolazione multivariegata, già ai tempi avevamo una compagna di classe africana, una dei paesi dell’est ed una asiatica e i nostri genitori provenivamo da tutte le regioni d’Italia per motivi di lavoro e questo da quando andavo a scuola a Milano, a Laveno, a Varese indifferentemente, ma per parlarci tra bambini, siccome non studiavamo l’inglese, usavamo l’italiano, dimenticando sovente i dialetti, mossa sbagliata considerando che chi conosce qualche dialetto può essere portato meglio a conoscere le lingue straniere come l’inglese o lo spagnolo ad esempio.

Se io vi scrivo “we, ma o’criatur c dicj?” di quale lingua si tratta, dell’inglese, dell'irlandese o dell'islandese? Trattasi del dialetto napoletano invece, ma tutto porta a tutto, anche a capire meglio le lingue straniere iniziando da piccoli a parlare sia in italiano che in dialetto, cosa da me mancata; da qui ecco incorrere nell’errore di pronuncia in inglese nel video al precedente articolo, ma per quanto concerne almeno l’italiano, ritengo di conoscerlo abbastanza e avendo la fortuna che lo si parla anche nella vicina Svizzera e naturalmente anche in Vaticano, nella Repubblica di San Marino e in Somalia (Africa), problemi reputo non averne, vi ho voluto dare una visione divertente e scherzosa della vita in campagna, spero abbiate compreso l’intenzione, che in verità in quel periodo in molti traslocavano dalla città in campagna per fuggire ai cosidetti “anni di piombo”, in cui anche Milano ne rimase invischiata, volendo tralasciare certi episodi che neanche allora trovarono facile collocazione nei ricordi collettivi per via della loro crudezza, alla prossima da Gennaro Gelmini.

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Published by Gennaro Gelmini

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