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11 febbraio 2020 2 11 /02 /febbraio /2020 14:24
Bella e brutta robinia tra amore e odio

Mai titolo fu più convincente, poi chi vuole capire capisca.

La robinia, qui si tratta di un albero, fu gloriosamente amata e vezzeggiata, un tempo, poi come al solito l’Umano ricordo dimentica troppo in fretta per tenere a mente questo amore e l’odio immotivato prende il sopravvento.

Si sa quanto nel Continente Europeo si ami la rosa, ovvero il fiore della rosa, che già le spine dei suoi rami a qualcuno non piacciono, eppure nessuno nega che non c’è rosa senza spine, lo sappiamo, allora perché facciamo finta di non saperlo?

Così è avvenuto, ma in maniera diversa, per la robinia, prima vezzeggiata, poi odiata, ma come sempre partiamo dall’inizio, allorquando in Europa nell’anno 1601 era stata importata dagli Stati Uniti d’America la simpatica robinia perché, al pari del più famoso glicine, i suoi fiori a corimbi hanno un profumo pari a quello di un giardino in fiore, tale da far innamorare qualunque donna, alla stessa maniera odio e amore corrono sullo stesso filo e come per il glicine, stessa sorte avvenne per la robinia.

Ma nuovamente procedendo per gradi, dovete sapere che il glicine fu prima amato per il profumo dei suoi fiori e poi odiato siccome sui suoi fiori osavano arrampicarsi le formiche, che tuttora vogliono farci bella mostra al capolino dei suoi fiori, ma per la robinia che è accaduto?

Ovviamente per i suoi fiori profumati svettanti fino in cima all’albero, la robinia fu amata e vezzeggiata da qualunque dama, haimé, le copiose spine acuminate la fecero in breve tempo odiare, sigh, sigh, sigh.

In breve, occorreva distruggerla e non saperne più di lei, che le spine della robinia lasciano il segno sulla pelle delle delicate fanciulle, questo le valse la condanna.

La povera robinia, un albero intendiamoci, fu condannata alla fine più atroce, morire al rogo!

E non pensiate che sia nulla, perché anche le piante hanno comunque un’anima, nel caso la robinia veniva carbonizzata affinché non se ne lasciasse traccia alcuna, che fin dall’inizio si sapeva che anche solo da un rametto, la robinia poteva miracolosamente rispuntare e ricrescere rigogliosa.

Abbruciata così, come si diceva un tempo e oggidì frase in disuso, la robinia non potè fare altro che subire ingiusta condanna, ma che, bruciava il doppio, bruciava bene!

Ma che significa ciò?

Ottima legna da ardere!

Ma i fiori? avevano dimenticato per cos’era nata la robinia, per il profumo dei suoi fiori, or bene, oppure or male chissà, essa diveniva pasto per il fuoco!

Ma no, così non ci siamo, non ci siamo proprio!

L’uomo aveva appena scoperto, o per meglio dire riscoperto, il fuoco!

Ma che, non poteva farlo con qualcos’altro il fuoco?

Ma invero per la robinia ciò ha rappresento la sua salvezza sul suolo europeo, in quanto bruciando molto e bene per un lungo periodo di tempo, meglio degli altri alberi, poteva essere coltivata per farne alberi da legna da ardere nei camini durante i lunghi inverni, oppure per cuocere il pane in un forno riscaldato col calore più uniforme possibile per tutta la durata della cottura del pane ad esempio, in modo da farlo risultare infine soffice e fragrante allo stesso tempo.

Così appunto la robinia si salvò, che come legna da ardere andava bene, solamente che dapprima osteggiata, per lungo tempo fu coltivata senza consenso ufficiale, allorquando al bosco ci pensava il boscaiolo e la robinia gli faceva comodo, però poi purtroppo, almeno dai Parchi Naturali tutelati dallo Stato, volevano completamente estirparla la robinia, ma oramai,considerando che anche dalle sole radici la robinia ricresce generando nuovi polloni, che in termini tecnici sono dei rami nuovi che partono alla base del tronco, rendendo di fatto nulla l’estirpazione, evviva!

La robinia può pure ricrescere da rami che cascano sul terreno, pure senza radici, ma con un poco di fanghiglia attorno, che l’umidità nei boschi abbonda, così cara robinia, sei ancora lì e ancora ti possiamo ammirare.

Per dirvi che per davvero, anche io so fare foto così, la foto sopra a questo articolo è mia, di Gennaro Gelmini, lasciata al pubblico dominio poiché troppo bella per lasciarla soltanto per me.

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